ZENER 1992

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mercoledì, maggio 28, 2008

REDDITI ONLINE

Premetto che ero contrario all'iniziativa di Visco: troppa la demagogia sulla questione “reddito”, in particolare per la sfera degli autonomi.
Mi spiego con un facile esempio.
Ho un cliente che 4 anni fa ha rilevato un'azienda per circa 2 mln di euro: tale somma era tutto avviamento.
Chi gliel'ha ceduta ha pagato una barcata di imposte avendo nel tempo ammortizzato tutti i beni, materiali ed immateriali, che costituivano l'azienda ceduta.
Ogni anno il mio cliente si “scarica” circa 110mila euro di ammortamenti cioè il 5,55% di quei 2 mln di avviamento pagato in occasione dell'acquisto dell'azienda.
Ogni anno il mio cliente dichiara un reddito di impresa di circa 15-20mila euro lordi.
Senza questi ammortamenti avrebbe un reddito di circa 125-130mila euro.
Per altri 14 anni andrà avanti, salvo modifiche alla disciplina fiscale che regola l'ammortamento dell'avviamento.
Il “problema” è che questo contribuente ha possibilità di un tenore di vita ben più alto dei 20mila lordi dichiarati potendo contare su liquidità (utile + ammortamenti) per circa 120 -130 mila euro annui.
Potendo contare su liquidità ben più alte del reddito dichiarato potrebbe tranquillamente comprarsi la Porsche.
Certo è che se qualche “imparato moralista” andasse a ficcanasare nella sua dichiarazione sai lo scandalo!
Vagli a spiegare i meccanismi legali e legittimi che consentono al mio cliente un tenore di vita alto nonostante un reddito dichiarato basso.
La cosa antipatica col clima che si è creato intorno alla questione dei redditi online è che l'onere della prova della “moralità fiscale” ricade sull'accusato di turno al quale non rimane altro che difendersi con argomenti di difficile comprensione per l'accusatore di turno rischiando ancora di passare per l'azzeccagarbugli di turno.
E' arduo far comprendere in una realtà di impresa che il solo reddito non è sinonimo di ricchezza e solidità.
Il problema delle dichiarazioni online era anche questo: ci sono troppi “imparati” che non conoscono e soprattutto non capiscono le molteplici dinamiche di determinazione del reddito di impresa.
E poi ancora: dalla dichiarazione dei redditi non si evince la ricchezza di un soggetto ma solo la sua capacità reddituale e non anche la sua capacità finanziaria e patrimoniale.
La differenza è notevole: personalmente preferisco dichiarare zero ed avere 2mln nel conto in banca o magari in ENI che mi danno una cedola di circa 120mila....non dichiarabili oggetto sempre di facile demagogia da parte di qualche imparato moralista.
In questi giorni di imparati moralisti se ne sono visto tanti.
Mi dispiace averne visti anche tra i preti: sarebbe meglio lasciassero da parte le questioni fiscali anche perchè se sapessero come funziona l'IRAP sussulterebbero dai loro scranni visto che il meccanismo di questa imposta violenta anche il settimo comandamento.
Con questo non voglio ergermi a difensore degli evasori: non trovo scusabili e giustificabili certi soggetti che abusano ed hanno abusato dell'usanza di dichiarare redditi troppo bassi in assenza di specifiche dinamiche che li potessero giustificare: in questo caso giusto punire chi non concorre al bene pubblico ma lascia il (dis)piacere ad altri, ma occhio anche alla tassazione ingiusta ed alla destinazione dei soldi delle tasse: con i politici più pagati ed amministrazioni pubbliche sperperone ed autoreferenziate non si può pretendere di imporre una morale al contribuente pagatore.
Quindi se tolleranza zero deve essere che lo sia ma con un sistema politico e di tassazione equo che non dia pretesti all'evasione.
E qui ben si innesta l'iniziativa di Brunetta nel voler rendere pubblici i costi ed i rendimenti di parte dei dirigenti pubblici: se si parte dal presupposto che un dirigente costa un tot e deve rendere e valere di più di quel tot siamo a posto, altrimenti è facile andare in tilt.
E a proposito del fenomeno evasione: non sono evasori solo i commercianti ed artigiani, bersagli “sicuri” perchè dotati di serranda ed insegna, il fisco si “dimentica” che ci sono anche pompieri, vigili, portuali, operai ed un esercito di pensionati col doppio lavoro in nero: non sono mica dei santerellini solo perchè non hanno la partita IVA!
La lotta all'evasione deve partire anche e soprattutto da questi soggetti invisibili al fisco che coi loro prezzi da concorrenza (non pagano le tasse) tirano al ribasso le tariffe di chi ha la partita IVA e quotidianamente deve pensare a tirare il carretto pur non avendo altre fonti di reddito quali uno stipendio o pensione, sentendo più pesante la necessità di fare cassa, anche in nero.
Ovvio che certi piccoli imprenditori possono concorrere solo senza fatturare ma con rischi ben alti (congruità e coerenza degli studi di settore, rischio accertamenti fiscali e bancari) dei loro “colleghi” doppiolavoristi..
Accertamenti si ma senza distinzioni: finora la lotta all'evasione ha avuto un solo bersaglio, cioè il popolo della partita IVA.
Poco è stato fatto per estirpare la concorrenza esentasse di un esercito di doppiolavoristi stimati dall'Eurorispes in circa 6 mln a fronte di circa 4,5 mln di autonomi.
Qualcosa di efficace è stato fatto ma solo in determinati settori facili bersagli di controlli tipo nell'edilizia “a cielo aperto” con il decreto Bersani.
Infine mi viene da dire che provo sempre più ribrezzo in chi si scandalizza perchè in quanto dipendente “le tasse le paga”.
E' sbagliato il concetto non la sostanza: è vero che le tasse dei dipendenti sono pagate ma non da loro; vantarsi di “pagare le tasse” quando per legge si è sostituiti in questo adempimento dai propri datori (vedi sostituto di imposta) mi da l'idea di bassa demagogia.
A conferma di ciò basta pensare che i sindacati nelle loro contrattazioni guardano al netto in busta: del carico fiscale non gli interessa niente, non è affar loro ma del sostituto di imposta.
Appoggerei sempre più l'idea proposta anni fa dai Radicali di Pannella: diamo tutto il reddito lordo ai dipendenti e ci pensino loro a pagare le tasse e contributi, magari con lo stesso meccanismo di prelievo degli acconti: lo so è utopia ma credo che anche questo contorto meccanismo di chiedere le tasse in anticipo del 100% se non provato sulla propria pelle non riesce a far apprendere appieno cosa vuol dire essere autonomi...e sopratutto non si riesce a capire cosa vuol dire “doversi difendere”.
Chi vuol capire...

2 Comments:

At 5:23 PM, Anonymous Anonimo said...

Curiosità da ignorante.

Premesso che non so cosa significhi che la "somma era tutto avviamento".

Ti chiedo, gentilmente, un chiarimento:

Se il tuo cliente continua ad avere un reddito (prima della detrazione degli oneri deducibili) superiore a quel 5.55%, per tutti i 18 anni (5.55 * 18 = 99.9) lo stato gli rimborsa il 35% circa dell'investimento (sotto forma di mancato versamento irpef)?

In pratica se una persona fisica ha un capitale di 2 mln di euro e compra un'azienda nelle suddette condizioni e riesce a mantenerne la redditività, avrà un aiuto dallo stato pari al 35% circa ed inoltre agli occhi dei vari indicatori di reddito ISEE (utilizzati per esempio per calcolare tasse universitarie e accessi a prestazioni socio-assistenziali ) risulterà più "povero" di un impiegato da 20kEuro lordi, che di certo non può permettersi la porsche?

 
At 7:17 PM, Blogger Zener1992 said...

Per avviamento si intende l'attitudine a produrre reddito di un'azienda.
Quest'ultima a sua volta è il complesso dei beni organizzati per l'esercizio di un'impresa.
Per beni si intendono anche quelli immateriali.
Diciamo che nella pratica la differenza tra il valore netto contabile di un'azienda ed il suo valore di acquisto è avviamento.
Ergo è un valore che coincide per chi vende con una plusvalenza sulla quale si pagano (molte) tasse.
Di converso chi compra - ed ha pagato per tale somma - si ammortizza questo valore in massimo 18 anni (quindi il 5,55%).
Il primo anno avrai speso 1 milione e ti ammortizzi 55mila: finanziariamente sei sotto di brutto (di solito per capire la differenza tra effetto economico del costo ed effetto finanziario dell'uscita di cassa è bene ed interessante vedere il rendiconto finanziario).
Fatta questa premessa è evidente che lo Stato non mi rimborsa niente avendo preso i soldi della tassazione sulla plusvalenza da chi ha ceduto subito e consentendomi di scaricare il costo invece in minimo 18 anni.
ISEE: vero, è una stortura ma viene mitigata dal fatto che viene chiesto anche il dato patrimoniale e quindi volendo si può misurare la capacità economica del soggetto.
Altra cosa: non è detto che per comprare un'azienda da 2 mln bisogna averli...ci sono le banche che se presti delle garanzie possono intervenire...si chiama leva finanziaria.
Poi c'è il rischio di impresa e lì bisogna essere capaci di ricavare abbastanza redditività da poter remunerare i propri ed altrui capitali.

 

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